Approccio terapeutico
- Perché mi sono comportato/a in questo modo?
- Cosa mi ha spinto ad innamorarmi di quell’uomo che poi mi ha fatto stare tanto male?
- Perché mi sento sempre giudicato/a?
- Perché mi sento sempre sbagliato/a?
- Cos’è che mi rende così insofferente e incontentabile?
- Perché quando tutti sono felici io non riesco ad esserlo?
Partiamo dalle domande
che ci poniamo
Le domande eterne, quelle che risuonano dentro di noi da quando esiste il mondo, come una goccia d’acqua che scava la pietra, come il movimento del mare.
Interrogativi che spesso si presentano negli studi di psicoterapia escono da bocche di ogni tipo, di persone differenti, con una storia diversa, ognuno con il suo bagaglio di vita, eppure ci accomunano così tanto.
Persone di sesso diverso, di culture differenti, di epoche dissimili e contesto vario con una vita alle spalle costellata di storie irripetibili ma che si rappresentano con atteggiamenti comuni e con le stesse domande.
Le domande eterne non hanno età anche se sono cresciute e cambiate con noi, con l’epoca industriale e con l’avvento della velocità e quindi della percezione di non andare al giusto ritmo sono divenute più incisive.
Il senso
di inadeguatezza
Lo stress, il minor tempo dedicato a noi stessi, la minore disponibilità all’ascolto hanno portato tante persone a soffrire sempre di più.
Il senso di inadeguatezza fa parte dell’essere umano da quando esso si è cognitivamente sviluppato.
Da quando il super-io giudicante ha iniziato ad accompagnarci nel nostro cammino ci siamo trovati un giudice parziale, tendenzialmente critico che ci invia condanne e pene sotto forma di pensieri.
Spesso questi pensieri li abbiamo cominciati ad associare ad opinioni di persone esterne a noi sentendoci quindi giudicati non solo da noi stessi ma anche da giurie esterne anche molto numerose.
Se abbiamo delle paure, delle fragilità e ci sembra di essere circondati da giudizi sia interni che esterni rischiamo di sentirci assediati senza vie d’uscita.
Il mondo corre e urla, il suo volume può essere così alto da non permettere di sentire le voci al di fuori di noi, quelle dei nostri figli, delle nostre mogli o mariti o genitori o amici. E ancor di più soffoca il bisbiglio che proviene dalle parti più antiche di noi, la nostra vera guida.
Il metodo Riza
Questo metodo terapeutico mira a riavvicinare la mente superficiale alle energie profonde ed arcaiche della nostra anima attraverso le immagini, il silenzio e il talento che ognuno ha.
Il metodo sviluppato nella scuola Riza ci insegna ad accogliere noi stessi incontrando la nostra unicità, ci permette di riconoscere le parti di noi che ci spaventano e che non ci piacciono (le zone d’ombra) e ci insegna ad ascoltare la nostra anima o il nostro Daimon che, come diceva Hilmann, ci porterà nella direzione per cui siamo nati.
Quando le nostre energie profonde non vengono ascoltate si genera un disagio che può diventare un sintomo come l’ansia, la paura fino a ogni tipo di sintomo psicosomatico. Il ricostruire una comunicazione dentro di noi cura e spesso risolve questi sintomi.
Uno sguardo sul presente
Il ruolo del medico psicoterapeuta
Il ruolo fondamentale del medico terapeuta avviene attraverso 3 importanti passaggi. La visualizzazione in cui inizia il dialogo con il paziente, la trasformazione ed il lavoro sulle immagini.
La figura dello psicoterapeuta si concentra sul mondo immaginativo. Il paziente che socchiude gli occhi e immagina le cose che secondo lui disturbano la sua esistenza. Si impara a visualizzare le scene disagevoli, lasciandole depositare nel buio e percependone via via la presenza senza contrastarle.
Il lavoro prosegue poi nel trasformare le scene sgradevoli in immagini archetipiche. Così il partner che viene vissuto come minaccioso, o un padre aggressivo, si trasformano in un drago, in un orco, in una scena fuori dal tempo.