Il bisogno di cura è il bisogno di ascolto.
Non credo che si possa prescindere da questo postulato.
Esiste una domanda che ogni medico (e terapeuta) dovrebbe fare ad un paziente prima di iniziare il suo trattamento, qualunque esso sia, che si chiama domanda di platino e recita così: “cosa devo sapere di te per poterti curare?”
Cosa devo sapere per poterti curare?
Fulvio d’Ostuni
Dopo l’episodio del pappagallo ed altri indimenticabili momenti ho capito che quel posto mi stava parlando, la sua anima mi stava suggerendo che il rimanere probabilmente non era una buona soluzione e così ho deciso di rompere gli indugi. Ho contattato la struttura ospedaliera vicino a casa mia chiedendo se mi autorizzavano a spostarmi, ho noleggiato un’ambulanza privata e ho chiesto ed ottenuto il trasferimento in Lombardia.
L’ambulanza guidata da Leclerc ha impiegato molto meno del previsto per arrivare e nonostante la sofferenza, l’idea di riavvicinarmi a casa mi trasmetteva una sensazione di benessere.
Insegno sempre ai miei pazienti che quando sentiamo benessere mentre facciamo qualcosa quasi sempre è l’anima che ci sta dicendo che stiamo facendo la cosa giusta anche se il razionale o le persone intorno a noi ci dicono il contrario.
Sono arrivato e sono stato preso in carico in maniera diversa, è vero quella domanda non mi è stata fatta ma i pappagalli non sono mancati, addirittura venivano svuotati senza nessuna preghiera, in autonomia, sembravano quasi volatili intelligenti.
Da lì sono seguite nuove TAC, risonanze, radiografie e prelievi fino ad arrivare in pochi giorni alla decisione di operarmi.
Si è deciso di collegare tra loro cinque vertebre per stabilizzarle e piano piano nei mesi rimettermi in piedi.
L’intervento si è concluso bene ma la riabilitazione sarà una compagna di viaggio così come il dolore che non mi abbandona mai e decide per me cosa fare e cosa non fare.
In questi giorni sto comprendendo sulla mia pelle quello che mi dicono certi pazienti affetti da ansia grave, che sono soliti dirmi come la loro vita non la vivono loro ma la loro ansia che non permette di fare tante cose e fa loro vivere una vita ridotta e limitata da una volontà superiore alla loro.
Anche per me è così, dopo cinque minuti seduto il dolore mi dice “sdraiati”, oppure mentre mi sposto da una stanza all’altra dentro al mio busto bionico, “ora siediti e smetti di camminare”, oppure, “stanotte ti faccio dormire”, oppure ancora “stanotte non ti faccio dormire perché mi va”.
In questi giorni ho percepito la fratellanza con loro, non ho solo capito ma ho sentito e vissuto.
Uscito dall’ospedale ho fatto una riflessione sulla mia esperienza e ho colto alcuni concetti che vorrei condividere.
Quando si è ricoverati ci si sente più fragili e indifesi e si ha molto più bisogno di attenzioni, anche i più irriducibili leoni tendono a divenire coniglietti di peluche indifesi e la cosa non è disdicevole, è comprensibile e i primi a comprenderlo dovrebbero essere i sanitari che popolano gli ospedali.
Devo dire che nel mio reparto di ortopedia in cui sono stato otto giorni in quasi tutti gli infermieri ho trovato questa predisposizione. MI ascoltavano, hanno capito i miei bisogni e hanno fatto di tutto per accontentarmi. Avevano a che fare con alcuni pazienti davvero antipatici che li trattavano come camerieri pretendendo senza mai ringraziare, e la cosa mi infastidiva per loro, ma nonostante questo non perdevano l’educazione e non facevano pagare a nessuno le frustrazioni della mancanza di educazione, del lavoro faticoso e delle condizioni lavorative quanto meno discutibili che li rappresentano. Li devo davvero ringraziare.
Poi ci sono gli OSS (operatori sociosanitari) che si occupano dell’igiene personale e sono quelli che di più entrano in contatto. Hanno un ruolo prezioso perché entrano in relazione con la parte di noi più fragile ed indifesa, entrano in contatto con le nostre limitazioni, le nostre perdite di autonomia, sono quelli che devono farci sentire più dignitosi. Nella mia esperienza la metà di loro ci sono riusciti perfettamente, l’altra metà era troppo arrabbiata per comprendere il potere assoluto che la loro mansione gli dava. Forse non sono aiutati dal concetto di gerarchia, vecchio e superato ma ancora presente in certi posti, dovrebbero sentirsi membri di un’equipe circolare, ma forse non ci si sentono e nessuno li aiuta a sentirsi così.
Ultimo posto della catena di ringraziamenti, al confine con il non ringraziamento ci sono i medici.
Il loro è un lavoro difficile che negli ultimi anni ha subito un terremoto. I pazienti sono cambiati tanto, molto rispetto ed educazione è sparita e le condizioni di lavoro non sono quelle di vent’anni fa, ma…
Da medico mi aspettavo di più, se escludo una specializzanda un po’ più ispirata ho assistito a gesti Albertosordiani tipici e ancora attuali. Lunghi codazzi ai giri visita senza che nessuno ti guardi in faccia, ti sorrida e magari, dico magari ti chieda come stai.
Ognuno che dice una cosa diversa dall’altro. Gli specializzandi che si sentono già arrivati mentre devono ancora partire. Gli studenti di medicina che sono così presi a vedersi col camice che non hanno capito dove si trovano. I medici strutturati spenti e freddi come se il carburante sia finito da un pezzo.
Dovrebbero essere orgogliosi della strada che hanno scelto e consapevoli che sono immersi nella sofferenza, nel dolore e nella morte e dovrebbero essere come dei sacerdoti nel più sacro dei templi e invece perdono quotidianamente l’occasione.
Tornato a casa ho ripreso con moderazione le mie sedute online ed ho scoperto una cosa incredibile: durante le sedute il dolore mi diminuisce clamorosamente, i miei pazienti sono più terapeutici degli antidolorifici.
Il benessere che provo durante la psicoterapia è talmente profondo e radicato da farmi sentire più sano, meno dolorante, mi rende più realizzato, mi rende migliore seduta dopo seduta e quindi non posso non concludere con un immenso grazie che rivolgo a tutti i miei pazienti che oltretutto in questo periodo mi sono stati vicini anche quando non facevo le sedute immerso nei tanti messaggi di vicinanza e calore.
Grazie