“un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno“.
Questa è la definizione dell’OMS dove si evince la doppia connotazione del dolore ossia sensoriale ed emozionale.
Per spiegarla da un punto di vista puramente medico il dolore nasce da un danno organico (tissutale) in atto che genera una percezione di dolore (sensoriale).
E allora perché nella definizione dell’OMS si parla di esperienza emozionale?
Perché se parliamo di emozione entriamo in una sfera estremamente soggettiva come tutte le emozioni.
Entriamo quindi in un mondo, quello delle emozioni, dominato o influenzato dal bagaglio di ognuno di noi. Le nostre emozioni sono il frutto non solo di un evento esterno ma di come noi lo viviamo, lo percepiamo e lo sentiamo.
Il nostro passato, i nostri complessi, le nostre precedenti esperienze, la nostra personalità alimentano le emozioni. E allora tornando al dolore non si parla di una lesione tissutale e di un danno che genera un sintomo come il dolore ma si parla di qualcosa di molto più complesso dove al suo interno c’è sia il territorio della scienza e del razionale che si mescola al territorio dell’irrazionale e del profondo.
Se poi ritorniamo alla definizione iniziale esiste un’altra portale che deve attivare una successiva riflessione ossia la parola “potenziale”. Un danno non ancora avvenuto ma potenziale come se il dolore possa arrivare comunque o prima, come se il dolore avesse anche una funzione di vedetta, di precursore, di consigliere.
Dolore fisico e dolore psicologico
Proseguendo questo ragionamento potremmo dire che tra dolore fisico e dolore psicologico in fondo non ci sono differenze perché il danno tissutale potrebbe essere reale ma anche potenziale e il danno emotivo non tissutale provoca un dolore emozionale come sarebbe anche il dolore fisico.
Quindi esiste un dolore, il dolore. Con la medesima dignità, con la sua intensità e con la pena che esso provoca.
Il dolore è uno e non esiste un dolore vero o falso, non esiste un dolore di serie A e B, non esiste un dolore più o meno sensato perché passando dalla sfera emozionale non esiste un’emozione che non meriti accoglimento e ascolto.
Il dolore può avere bisogno di farmaci ma si merita sempre una domanda: perché mi è venuto questo dolore? Cosa sta cercando di comunicare? Come posso accoglierlo?
Perché quando ci sono le emozioni anche se forti e spiacevoli c’è bisogno di ascolto, accoglimento e magari di psicoterapia che si può inserire in un percorso di cura se esiste un danno tissutale o essere da sola una buona soluzione se il dolore è psicologico e quindi il danno è presente ma invisibile.
Spesso si pensa che il dolore per una perdita, un trauma psicologico, un tradimento, la fine di una relazione, ma anche tanti traumi che per molti, erroneamente, sembrano piccoli ma in realtà sono enormi come una bocciatura, un trasloco, un cambio lavorativo siano meno importanti di un dolore fisico e che in qualche modo si curino da soli.
Esiste un’affermazione solo in parte vera e che spesso invece rappresenta un pericolo per le persone ossia “il tempo è guaritore”.
Sicuramente il tempo mitiga le intensità ma se non ci si prende cura del dolore attraverso un percorso psicoterapeutico il trauma rimane e diviene complesso, spesso si può seppellire nel nostro inconscio e guidarci dal profondo verso la sofferenza.
Ascoltarci, prenderci cura di noi, comprenderci, sostenerci e sapere chiedere aiuto senza cadere nel giudizio questo è il segreto per la cura del dolore.
Ascoltare il dolore

Adesso prendiamoci cura del dolore anche in un altro senso. A cosa serve il dolore?
Il dolore è sempre una spia di una problematica, è un sintomo esistente per portare la nostra attenzione su una dinamica da esplorare.
Questo concetto vale sia per il dolore diciamo fisico, anche se abbiamo visto che la cosa è molto più complessa, e per quello psicologico dove la spia è ancora più sottile ma evidente.
Quindi il dolore non è qualcosa da cui fuggire e non è qualcosa da sedare e spegnere, egli è un alleato che ci indica la direzione verso cui guardare.
Se ascoltiamo i nostri sintomi ascoltiamo i nostri bisogni, se ascoltiamo i nostri sintomi ascoltiamo il nostro Daimon e quindi andiamo nella direzione giusta.
Dobbiamo saper accogliere le parti di noi, tutte le parti di noi anche quelle che non ci piacciono o che ci spaventano. Parafrasando Krishnamurti considerare i sintomi come estranei vuol dire allontanarli e non prendersene cura.
Tutto quello che si forma dentro di noi ha una funzione evolutiva anche se questo vuol dire percorrere territori di sofferenza e paura, anche se questo vuol dire aver paura di non farcela.
Curiamo il nostro dolore con l’ascolto e cerchiamo di farci sempre aiutare da qualcuno competente e che sposi la linea dell’ascolto e della profondità, che si crei un’alleanza tra il paziente, il suo sintomo, il suo Daimon, il suo inconscio e il suo terapeuta affinché insieme tutti si evolva e si percorra la strada per la crescita personale anche se alcune volte per farlo bisogna percorrere strade di sofferenza.
Il dolore può essere l’inizio del cambiamento.